Sulla questione del tempo che “guarisce ogni ferita”: dirò che è una cazzata.
Ci sono eventi, fatti, esperienze della vita, da cui non ci si riprende mai del tutto. Certe architetture non si ripristinano, certi tessuti non si rappezzano. Si recupera quel che serve a starci, in qualche modo. Starci, però, non è guarire. Dipende da come si abita il tempo della guarigione.
Per cominciare, il tempo necessario a una guarigione vuole che la ferita se ne stia ben protetta, pulita e asciutta, al riparo da infezioni e altri traumi. Occorre, inoltre, che il corpo disponga di quanto necessario a ricostruire ciò che si è rotto, aperto, leso.
Ci vuole un progetto di ricostruzione.
Ci sono ferite che non rimarginano, perché manca il progetto di ricostruzione.
Così, ci sono vicende che – come è uso comune dire – ci «segnano». Tracciano un segno, cioè, fra un prima e un dopo. In mezzo c’è un colpo assestato con violenza, che genera il pandemonio, un putiferio raccapricciante, un finimondo dopo il quale non siamo più come eravamo. Lo notano e ce lo dicono anche gli altri: non sei più quello di una volta, che ti è capitato? Niente, è capitata la vita.
Succede con le malattie, i lutti, i divorzi, e sembra anche con i traslochi e i cambi di lavoro: eventi stressanti, o traumatici, che provocano un incendio biochimico del cervello e lasciano una specie di infiammazione più o meno prolungata, che può diventare cronica e patologica quando l’incendio appare ingovernabile.
Molte persone, tra cui medici, ritengono che la comparsa di un tumore sia legata anche a un forte stress emotivo: ci si ammala nel corpo, in segno di uno strazio interiore, un’afflizione che ha indebolito la competenza del sistema immunitario (quindi chi soffre di depressione, che nello stress emotivo ci si fa il bagno ogni mattina, è sempre e più a rischio di tumore?).
Nei mesi precedenti alla diagnosi di cancro al seno, in effetti, non traboccavo di gioia. Però, di questo, mi sono accorta tardi.
Il mio corpo non ha ancora un chiaro progetto di ricostruzione. E nemmeno io.
«Annalisa, il corpo vorrebbe ripartire ma non ce la fa». È quanto mi ha detto ieri la mia ginecologa dopo la visita.
La chemioterapia dell’anno scorso mi ha indotto la menopausa. All’età di 42 anni, in un corpo sano, fertile e forte, la menopausa non è un evento naturale.
Adesso, finite anche tutte le terapie post-operatorie, il corpo mi presenta segnali di ripartenza, un’impacciata volontà di ricostruire, senza un progetto chiaro. Una delle due ovaia dorme ancora, l’altra si sta svegliando; tra loro c’è disaccordo sul da farsi.
Per questo, da circa una decina di giorni, sanguino copiosamente a ogni sonora e volgare pisciata: scrosci di sangue rosso vivo che non fanno parte di un regolare ciclo mestruale e che, dunque, non sono prevedibili né controllabili. Sono tentativi furibondi di un corpo femminile che vuole ancora la vita.
Va pur detto.
Guarire dal cancro è anche questo: fare la stima dei danni dopo il crollo di un edificio.
I capelli stanno ricrescendo in un cespuglio di ciocche un po’ ricce, un po’ mosse, un po’ stoppa. La pelle esposta alla radioterapia si arrossa facilmente al primo sole. Ci sono ancora odori e sapori che mi nauseano, come quello dell’aceto. Salire le scale mi accorcia ancora il fiato e addolora i muscoli delle gambe. Non ho ancora del tutto smaltito il veleno della chemio, questo lo dice il mio fegato.
Il mio lavoro di copywriter freelance è diminuito. Durante le chemioterapie, avevo ridotto la mole e tale l’ho lasciata. Affiancherò un secondo lavoro part time che non mi chieda di pensare in modo creativo. Pensare in modo creativo mi costa – mi costa, sì, – una fatica che non posso sostenere per molte ore al giorno.
Alcune persone, amici soprattutto, le ho lasciate andare via dalla mia vita: ho meno posto di prima, meno tempo da sciupare, meno voglia di spiegare.
Conto morti.
Alcuni li ha fatti il cancro, altri li ho fatti io.
Promemoria per questa estate che mi si annuncia lunga: mettere in sicurezza quel che rimane; ripulire l’animo dalla sporcizia; usare tanta crema solare protezione 100.
Nota: Stamattina ho preso un caffè con Maria Cristina Perotti di Riviera Oggi, noto giornale marchigiano prima cartaceo e poi online dal 2002. La ringrazio perché il giornale vuole ospitare il mio progetto PinkInk Series in una nuova rubrica dedicata: un piccolo spazio tutto affidato alla mia cura e alla mia penna. Ne parlo in un post pubblico sul mio profilo Facebook.