macerie

Sono cresciuta sentendo mio padre ripetere una frase, tra le sue ricorrenti. Ne ha quattro o cinque predilette che usa ripescare al momento che gli sembra quello giusto. Su quale sia il momento giusto, con lui non si discute.

La frase di mio padre è: «Solo alla morte non c’è rimedio, il resto si aggiusta tutto». Credo si riferisse – di volta in volta, negli anni, – a mutui, spese impreviste, danni da riparare, accadimenti spiacevoli, piccoli guai: comuni rotture di palle dell’esistere. Ha smesso di dire questa frase quando mi sono ammalata di cancro. Ha ricominciato a dirla, credo, adesso che sono guarita (non gliel’ho ancora sentita dire, ma secondo me l’ha rispolverata).

Mi sono accorta che, da qualche tempo, ho iniziato a dire questa frase anch’io, non ad altri: a me stessa. Me la dico ad alta voce, addirittura, mentre vado sistemando cose a casa, e sgocciolo pianto e muco. Si finisce sempre con l’assomigliare ai propri genitori, in qualche cosa, e di solito è nelle cose che non abbiamo amato.

Guarire dal cancro fa tirare il fiato, sì.

Per quanto riguarda l’esistere mio, però, guarire è stato come rialzare la testa, aprire gli occhi e riprendere i sensi dopo una detonazione violenta: quello che vedi intorno a te non è più come prima. Case, strade, persone, qualcosa è rimasto, qualcos’altro no, non c’è più [e chi è quella povera disgraziata spettinata e pestata che vedo riflessa in un vetro? Ah, sono io].

Si perdono i riferimenti, i convincimenti, il noto.

Non è così per chiunque abbia avuto un cancro, chiaro. Questa è solo la mia storia, che si è intrecciata con altri fattarelli quotidiani, eventi, altre deflagrazioni, tali da creare una frattura tra un prima e un dopo.

Prima e dopo

il-viaggio-dell'eroe

In un libro di Christopher Vogler che si intitola Il viaggio dell’eroe. La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e di cinema (traduzione di Jusi Loreti, Audino, 2010), c’è scritto che, in un racconto, il mondo ordinario è quello in cui il personaggio protagonista vive prima di un «incidente scatenante», un evento che scardina l’assetto della sua vita, della sua realtà, delle cose che sa. Dopo, inizia il terzo atto della storia, quello in cui il mondo del protagonista cambia, diventa straordinario.

Non c’è dubbio: il cancro è stato, nel 2023, il mio incidente scatenante. Non il primo della mia vita ordinaria, ma senz’altro il più importante. Il più grave, si direbbe comunemente (eppure).

E adesso?

La scrittura rimedia

Sono vent’anni che ricorro alla scrittura per sopportare meglio la vita, incidente dopo incidente, e rifarla da capo, rimediare: raccontarla in un modo che giovi a me e a chi legge. Come tante persone che scrivono, per mestiere o per amore o per vizio o per tutti e tre i motivi, anche io ho scritto il mio romanzo non pubblicato, lasciato a decomporsi insieme ad altre cose abbandonate, dopo un paio di rifiuti da parte di editori. Non ho insistito, perché non sono dotata di perseveranza; sono venuta al mondo con poca convinzione e ragguardevole perplessità. E non ho soldi, né slancio soprattutto, per frequentare scuole di scrittura. Così è.

«Perseveri nella scrittura»

«Ritengo che lei scriva molto bene […] Perseveri nella scrittura». Me lo ha scritto qualche giorno fa, in una e-mail, uno scrittore italiano che pubblica i suoi romanzi con importanti editori. Scrivo e basta, di rado busso a porte, e mai alle porte giuste. Non ho disciplina, soprattutto. Questo l’ho capito solo negli ultimi anni e poi, con pienezza, durante la malattia: mi sono salvata perché ho gente intorno che mi ha accompagnato a curarmi con regolarità. Io, se fossi stata da sola, avrei anche potuto saltare un ciclo di chemio. Per incuria, stanchezza, malavoglia.

Le frasi fatte che vorrei rifare

«Solo alla morte non c’è rimedio, il resto si aggiusta tutto», dice papà. Dice anche altre frasi come «Non si nasce mica imparati», «Il guadagno sta sotto la lingua», «Le cose si dovrebbero fare sempre due volte» (perché alla prima si canna, ovvio), «Qua siamo tutti di fiato» (per intendere che oggi ci sei e domani non si sa, e su questo è possibile che siamo tutti d’accordo). Le dice tutte nel nostro dialetto. Solo in dialetto si dicono le cose che contano.

La prima frase, quella sul fatto che solo alla morte non c’è rimedio, me la ripeto adesso anche mentre scrivo. Il resto, si aggiusta tutto, dice lui. Io dico no, tutto no.