Quando ho iniziato a perdere i capelli per la chemioterapia, era una sera di inizio maggio, l’anno scorso. Non ero sola. Mi trovavo in una casa che non era la mia, insieme a una persona furiosamente amata.
Avevo cominciato a spargere capelli in giro già dal mattino: sul bancone di una farmacia, mentre ritiravo integratori e medicine. Mi grattavo la testa e mi ritrovavo un pugno di chioma in mano. Quella mattina avevo cambiato borsa, non avevo con me il turbante pronto per l’occasione. Ho chiesto scusa al farmacista, perché gli stavo lasciando roba mia sul banco: non è buona educazione. Me ne sono tornata a casa con la testa bassa e rada, un po’ di vergogna, un po’ di risate, un po’ di amarezza.
Nella casa in cui mi trovavo quella sera di maggio, continuavo a disseminare capelli sul cuscino, a letto. È stato allora che sono ricorsa alla macchinetta per la prima volta. Aiutata con cura, in bagno, ho lasciato andare i capelli che rimanevano. Ricordo il ronzio della macchinetta, il naso che pizzicava, e il lavandino bianco che si riempiva di peluria, una lanugine già bruciata dai farmaci chemioterapici, imbarazzante. È possibile che stessi piangendo, in silenzio, con pudore. Non me lo ricordo.
Li avevo lunghi fino alle spalle, lisci. Li avevo già tagliati corti dal parrucchiere, il 13 aprile, per prepararmi alla perdita. Ma non ci si prepara mai abbastanza, a una perdita. Quando sono caduti, sfilati via come una guaina, una membrana leggera di filamenti volatili, non ero preparata lo stesso. Non ho potuto nemmeno donarli a un’associazione a favore di pazienti oncologiche, come avrei voluto, perché avevo mèches e perché i capelli non erano abbastanza lunghi. Quindi perderli non è servito a niente e a nessuno, nemmeno ad altre donne malate in cerca di una parrucca vera.
Quando ho perso i capelli, dicevo, io non mi sono persa d’animo.
Tante donne, sì, si ammalano per questo. Ho parlato con molte di loro al reparto di oncologia mentre facevo la chemio: avevano speso centinaia, migliaia di euro in parrucche di capelli veri, erano depresse, piangevano. Io no, mi piaceva la mia testa nuda, sguarnita, esposta. Era così rotonda, non l’avevo mai vista. Mi piaceva la mia collezione di turbanti e mi piaceva la mia faccia col turbante. Poi, era arrivata l’estate: in estate, se vivi al mare, si può tutto.
A un certo punto la chemio è finita, almeno la prima serie di cicli, e già alla seconda serie a base di taxolo i capelli hanno cominciato a riaffacciarsi. È stato allora, verso ottobre, che ho iniziato il Kintsugi Project con la fotografa Barbara Di Cretico.
Adesso sono nei guai. Tribolo.
I miei capelli, oggi, sono lunghi cinque, forse sei centimetri. Sono rinati ricci, indisciplinati, sovversivi, e più scuri. Non mi piacciono, non li conosco, non so governarli. Al mattino, quando mi sveglio, mi guardo alla specchio e vedo un cantante rock degli anni ’80 (ho detto «un»). La faccia spenta, lo sguardo passivo, resti di gel sulle punte. Risvegli pessimi.
I capelli sono importanti. Ci tengo adesso che mi stanno ricrescendo, non quando ero calva e senza colpe.
“Hair is everything” (Fleabag)
I capelli sono emblema di giovinezza, salute, energia vitale. Sansone, personaggio biblico di straordinario vigore, perde la sua forza quando Dalila traditrice gli taglia i capelli. Con le trecce di capelli, nel mito e nella favole, si aiutavano amanti ad arrampicarsi fino a una finestra. Nel Medioevo, i monarchi francesi non li tagliavano, li lasciavano sciolti a simboleggiare il loro potere. In molte culture, il taglio dei capelli era considerato un disonore riservato ai nemici sconfitti in battaglia.
Mi manca con precisione.
Mi manca isolare una ciocca e metterla sul naso per riconoscere il profumo dello shampoo, che sa di buono e gentile. Palpare davanti agli occhi la consistenza pulita e scorrevole, sentirmela fra le mani. Mi manca usare la spazzola grande, e perdere mezz’ora di tempo per asciugarli dopo la doccia, legarli, acconciarli. Coprirmici le spalle. Mi manca che mi vengano accarrezzati, annusati, desiderati, studiati, raccolti in una mano maschile, afferràti con prepotenza buona.
Invidio tutte le donne con i capelli lunghi, sani e abbondanti. No, non le invidio: le detesto. Vorrei strapparveli con le mani fino a farvi piangere e sanguinare.
Di notte, sogno di avere i capelli lunghi.
Li sogno spesso. Lunghi, lisci, lucenti, belli. Nel sogno, li pettino. Li guardo. Ne faccio vezzo. Sogno anche altre donne con i capelli lunghi, donne diverse da me, donne volute, donne guardate, scelte, amate.
Ho comprato online un paio di parrucche. Una stravagante e inverosimile, da usare per il prossimo progetto fotografico con Barbara Di Cretico; l’altra più consueta, simile ai capelli che avevo. È insolito comprare una parrucca a questo stadio del percorso oncologico, quando i nuovi capelli hanno ormai esistenza e forma. Io sempre tutto o niente, o capelli lunghi o turbanti, o capelli o parrucca. I miei corti, non li sopporto. Non mi sopporto.
«Ricresceranno», dite.
Che equivale a dire che domani sorgerà il sole. Certo che i capelli ricresceranno (qui, solo tra i denti, aggiungo un insulto di media entità). Ma, per poterli raccogliere a manate in una crocchia generosa, ci vorranno anni. La percezione del tempo, nei malati oncologici, è diversa da quella dei sani. Anni quanti? Anni come?
Nel frattempo, vado al mare. Mangio pesce sulla spiaggia, bevo vino bianco, mi lascio scompigliare dal vento le ciocche di ricci senza regole. Ho la tristezza.
Ho preso l’abitudine di piangere in macchina, da sola, mentre guido, dietro gli occhiali da sole. È una pratica ecologica, perché si spurga tristezza senza rompere il cazzo al prossimo. Chi non ha mai provato, ci provi. Fa l’effetto di una boccata d’aria fresca, o di un nuovo taglio di capelli appena fatto.
[Nota: Qualche giorno fa ho scoperto di essere letta da Alberto, ex compagno di liceo che incontro sempre per caso, più o meno ogni quattro, cinque anni. Domenica scorsa ci siamo rivisti a un evento di Poetry Slam. Ottimo lurker, Alberto mi ha rivelato di leggere in silenzio questo blog (come, del resto, molti di voi). Ciao Alberto, e ciao voi che leggete muti, discreti, invisibili]
“caxxo che post” ho pensato. Ho pensato mille altre cose, perché il tema è diventato sensibile per me da quando un altro tuo post sui capelli mi ha fatto versare lacrime amare, come quelle che ti bagnano il viso quando sei da sola in macchina o giù di lì.
Che stai bene con quel taglio probabilmente te l’ho detto la settimana scorsa, ma non con quella convinzione con cui te lo scrivo qui: ti donano, per assurdo che appaia. Sembra un taglio studiato, non una ricrescita appena iniziata da parte di bulbi alieni. Ma se a me fossero rinati lisci, sarei depressa e intimorita, perché non solo non mi stanno bene corti, ma figurati corti e lisci. Ok, grazie, mi state rinascendo, ma oh non scherziamo!
Hai citato Fleabag, wow ❤️. Peccato non avere un Anthony contro cui inveire a prescindere dalla sua innocenza. 😁
Ho ascoltato proprio ieri una puntata di “Ci vuole una scienza” (conosci questo podcast?) dedicata interamente ai capelli (è di 2 settimane fa) in cui hanno svelato tanti falsi miti che circolano, per poi affermare che questo cambiamento di capelli dovuto alla chemio è temporaneo, qualche mese e poi i propri capelli originari ritornano. Posso regalartela, se vuoi. (è podcast su abbonamento de Il Post. A te la scelta)
Zia Ambra cara… Grazie per il tuo passaggio.
Non conosco il podcast di cui parli, se mi regali la puntata io ti… faccio un’altra pasta col sugo di pesce, però non mi limiterò a scolare la pasta e condirla con il sugo fatto da mia madre: lo farò io. Cose grosse.
Ti abbraccio,
A.
Ciao, ti leggo in silenzio anche io, ti ho scoperto per caso da un articolo di un giornale locale. Ho fatto la prima “rossa” il 31 maggio e mi sono operata a dicembre dello scorso anno, sto vivendo la tua stessa esperienza con circa due mesi di distanza e nelle stesse stanze di ospedale. Tra una settimana ho appuntamento con la mia parucchiera, sistemare per quanto possibile il taglio e togliere finalmente la parrucca che porto da quasi un anno. In pochissimi sanno cosa ho vissuto e gli altri neanche si sono accorti che la indosso. Per molte farsi vedere con un nuovo taglio, magari completamente diverso dal solito è una cosa normale, per me invece è una nuova sfida fa affrontare. Guardo le tue foto e penso che tra un po’ li avrò “lunghi” come i tuoi e mi sento meglio. Un abbraccio Barbara 😘
Ciao Barbara,
Grazie per esserti fatta vedere qui!
Chissà, forse nelle stesse stanze di ospedale ci siamo incontrate allora… io ho fatto la chemio in reparto dal 17 aprile al 20 settembre. Ora sto facendo quella a casa, in compresse, dopo l’intervento di ottobre e dopo la radio.
“In pochissimi sanno cosa hai vissuto”, perché tu hai voluto così?
Scrivimi via email se vuoi, all’indirizzo annalisa@pinkinkseries.it, oppure a annalisa.disalvatore@gmail.com. Vorrei parlarti del Kintsugi Project e delle storie delle donne-albero, che probabilmente hai già letto in questo blog.
A.
[…] cercava testimonianze su internet, ma mi ha scritto solo in questo mese di aprile, dopo aver letto il mio post su quanto, quanto mi mancano i miei capelli […]
[…] il resto, ribaltatela come più le piace. E non dimenticate di afferrarla per i capelli, anche se li ha corti e soprattutto se dopo le chemioterapia le sono ricresciuti folti e forti: […]
[…] In quanto al colore, ad alcune donne ricrescono bianchi, grigi, argento, rossi. A me sono ricresciuti castano scuro, e un po’ ricci. […]