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Prossima TAC con mezzo di contrasto: 4 aprile. Torace, addome, encefalo.

«Encefalo? – chiedo alla mia oncologa, – Perché encefalo?». Perché è una delle prime vie di fuga, mi dice lei, con calma serafica e lucida pragmaticità. È una delle prime vie di fuga del cancro triplo negativo che mi hanno tolto dal seno lo scorso ottobre.

Va bene la chemioterapia, va bene la radioterapia, va bene la mastectomia radicale del seno destro con ricostruzione, va bene la capecitabina di mantenimento attuale (sono al quarto ciclo), ma non sappiamo se nel frattempo qualcosa è andato in giro. È una possibilità, ecco. Il triplo negativo, ormai lo so, è un tipo di tumore che tende a recidivare nei primi tre anni. Quindi TAC, visite, controlli, emocromi con marcatori tumorali. Tutto quello che serve a prevenire.

Adesso si sta di vedetta, “culo stretto e pistole cariche”.

– Culo stretto e pistole cariche, ragazzo -, dice Melissa Dolphin. – Il resto è poesia inutile.
Phil Wittacher sorride.

– Non è un duello, la vita -, dice.
Melissa Dolphin spalanca gli occhi.

– Certo che lo è, idiota.

Musica.

Alessandro Baricco, City, Feltrinelli 2013

Ma “la guerra” contro la malattia è più un affare di medici, studiosi, scienziati, chi fa ricerca, chi discute. Io no. Io, paziente [dal lat. patiens -entis, propr. part. pres. di pati «soffrire, sopportare»], sono solo stanca assai.

Non mi stupirei di avere proprio nel cervello una caverna sicura per un male vorace.

Fra tutti i posti del mio corpo, è quello di cui mi fido meno, oggi.

Vado a pranzo con la mia migliore amica, mangio pesce e mi smezzo una bottiglia di pecorino. Non dovrei (bere), sono ancora in chemioterapia. Lei ha un figlio, è madre da quasi quattro anni e, per il momento, ha organizzato la sua vita intorno a lui. Io no, figli non ne ho, non ne ho voluti, io ho 42 anni e morirò nullipara (leggete Flavia Gasperetti, Madri e no. Ragioni e percorsi di non maternità, Marsilio, 2020). Nelle narrazioni culturali odierne, oggi io e la mia migliore amica siamo divise. Come fra sani e malati. Eppure una chiacchierata fatta bene riusciamo ancora a farcela, mentre io pulisco il gambero che ci dividiamo e lei taglia in due il salmone marinato. Certo, lei pensa che io non possa capirla e io penso che lei non possa capirmi, ma ci proviamo. Mangiamo ancora nello stesso piatto, da molti anni. Può bastare.

Vorrei dirle che ho paura che questo 2024, per me, sarà anche peggiore di quel 2023 di cui lei sa molto. Glielo dico. Annuisce e mi passa mezza pannocchia. Sì, potrebbe, potrebbe essere peggiore. E quindi? Pure il suo, quello di altri.

Vorrei dire molto a molte persone che fanno o hanno fatto parte della mia vita, ma ho iniziato a lasciar perdere, lasciar andare, mollare. È più interessante, più vitale, mangiare insieme e lamentarsi di questa pioggia di fine marzo. Vorrei dire che quasi ogni giorno me lo sto vivendo come se potesse essere l’ultimo, il che non significa fare soltanto cose buone per sé e per gli altri. Anzi.

Pyramid Song (e caos calmo)

In un romanzo ormai famoso di Sandro Veronesi, Caos calmo (Bompiani, 2005), il protagonista vive il dolore di un lutto e decide di trascorrere le sue giornate seduto su una panchina davanti alla scuola della figlia. Da quel momento in poi, un sacco di persone – parenti, amici, colleghi – va a trovarlo lì, in panchina, e gli racconta i cazzi propri. È successo anche a me l’anno scorso, dopo che si è saputo del mio cancro: vecchi amici, cugini, ex compagni di scuola venivano a trovarmi mentre facevo chemioterapia e mi confidavano segreti indicibili, tragedie domestiche, ansie, angosce. Io ascoltavo, col mio turbante in testa, la faccia grigia e una tisana per lo stomaco. Mi sentivo un po’ sciamana e un po’ morente.

Comunque. Caos calmo. È dove mi trovo ora, qui da dove scrivo. A volte a una scrivania, di giorno; a volte in macchina, di sera.

Dal libro di Sandro Veronesi è stato tratto quel film con Nanni Moretti come protagonista. Pyramid Song, dei Radiohead, è uno dei brani della colonna sonora. Precisamente, quando il protagonista si ferma in macchina, di notte, e inizia a piangere come un bambino.