kintsugi

Ottobre è il mese.

  • Mese della Campagna nazionale Nastro Rosa di Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro per sostenere la ricerca sul tumore al seno.
  • Mese, per me, di trasferte a Milano per la mirabile mastectomia al San Raffaele.
  • Mese in cui inizio un nuovo piccolo progetto: la seconda parte delle PinkInk Series.

La prima parte della serie, l’ho voluta dedicare al tempo della chemioterapia neoadiuvante (cioè eseguita prima dell’intervento chirurgico e non dopo): 158 giorni di tragicomiche e miserrime tribolazioni e 26 post che li raccontano con testi semplici e sinceri.

Ogni post era accompagnato da una foto amatoriale, scattata alla buona con un cellulare Galaxy A30s acquistato nel 2020, costato 190 euro e caduto per terra innumerevoli volte. In quasi tutte le foto, inserite in una grafica rosa con l’illustrazione di tante piccole tette stilizzate sullo sfondo, ci sono io in ospedale durante un ciclo di chemio, con i miei amuleti vicino, o addosso, o nella testa: libri, regali, magliette e calzini colorati e ridicoli, rossetti rossi, film, canzoni, oggetti, cose che mi aiutavano a spostare lo sguardo.

La seconda parte delle PinkInk Series sarà diversa. Intanto, perché ho finito le chemio: diverso è ciò che vivo, diverso il materiale che ne cavo fuori. Poi, diversa come, non lo so.
Ma so come inizia: con il Kintsugi Project.

Kintsugi

Il Kintsugi adesso va di moda anche da noi occidentali e se ne parla tanto quanto si parla di “resilienza”, e cioè troppo.

Il Kintsugi – letteralmente “riparare con l’oro” – è una tecnica di restauro inventata da ingegnosi ceramisti giapponesi, probabilmente nel XV secolo, per riparare tazze rotte. Le linee di frattura, lasciate visibili e impreziosite con polvere d’oro, diventano decorazioni dalla trama unica e pregiata. La metafora della vita mi sembra abbastanza facile e ognuno di noi, infatti, se la gioca come gli fa più comodo.

Il Kintsugi Project, invece, è una specie di spin-off delle PinkInk Series

È nato da un’emozione primaria, da sempre disponibile agli umani come agli animali, necessaria a proteggersi di fronte ai pericoli e utile alla creatività: la paura. Nel mio caso, la paura dell’intervento chirurgico che tra poche settimane mi porterà via un seno, il destro; la paura di una crepa visibile fra la me di prima e la me di dopo – la crepa invisibile si è prodotta all’inizio di quest’anno e continua ad attraversarmi senza che io opponga resistenza. La paura non “si affronta”, non “si combatte”, non “si gestisce”, non “si supera”: si vive, per il tempo che serve. Ci si sta, fermi per un po’, come nel dolore.

Il Kintsugi Project è la pulsione di vita con la quale rispondo alla pulsione di morte.

È la volontà di ricordarmi com’era il mio corpo, quando non sarà più com’è adesso. È un modo creativo e condiviso di vivere l’attesa della perdita, il distacco da un elemento del Femminile. È una testimonianza, anche, utile a chi si occupa di informare, sensibilizzare, educare in materia di prevenzione. È un incoraggiamento, infine, per tutte le donne che hanno o hanno avuto un cancro al seno, a inventarsi un progetto anche loro: un’attività di scrittura, di fotografia, di pittura, di musica, di ballo, di sport, di scrapbooking, di uncinetto, di spettacoli pirotecnici, di quello che vi pare: fate con quello che sapete fare. Che sia un progetto che aiuti voi a restare salve e altre persone a scoprire qualcosa di bello, o di utile, o entrambe le cose.

Due donne, due professioniste della creatività e della bellezza, hanno accolto la mia richiesta e mi hanno aiutato ieri a realizzare questo mio progetto mattoide e scombinato (e sì: anche autoreferenziale, come tutti i progetti creativi che zampillano da una storia personale).

Grazie a:

Barbara Di Cretico: per avermi accolto nel suo studio con una bottiglia di vino e un sacchetto di nocciole, allo scopo di allentare la tensione visibile sulla mia risaputa “faccia da cazzo”; per la pazienza con cui aspetta l’attimo da cogliere per la foto giusta mentre nel frattempo scatta a raffica; per aver dedicato tempo a questo mio minuscolo progetto personale come se fosse un progetto grande e importante tanto quanto i suoi reportage in Galizia o nello Sri Lanka.

Mariangela Palatini: per avermi accolto nel suo studio come ha già fatto tante altre volte, e cioè con calore, chiacchiere, risate e il caffè (che non bevo quasi più, ma il pensiero è sempre bello); per avermi preparato alla spietatezza delle luci di un set fotografico; per aver arricchito il mio progetto con le sue idee e iniziative spontanee; per aver dedicato tempo anche lei a questo mio minuscolo progetto personale come se fosse un progetto grande e importante tanto quanto i suoi servizi per Vogue o L’Officiel.

Da ringraziare c’è anche una terza donna presente ai lavori di ieri e inizialmente non prevista. Meno male che invece c’è stata: Gloria, mia cugina, figlia del fratello di mio padre, ha aiutato, ha assistito, ha suggerito, ha sorriso, ha ballato per me, ha messo la musica, mi ha preparato una playlist da ascoltare a casa, mi ha recitato la parte di Eugenia Praticò in “Romantiche”, il film di e con Pilar Fogliati (le viene benissimo non sapete quanto, soprattutto quando dice: “… perché la mia è una bella storia”). La sua presenza non è stata meno importante e il mio perché lo so io.

Il solo modo che conosco di stare al mondo senza afflosciarmi, è scrivere. Barbara, per mestiere e con amore, scatta fotografie (non quelle con un cellulare Galaxy A30s acquistato nel 2020, costato 190 euro e caduto per terra innumerevoli volte). Mariangela, per mestiere e con amore, trucca le persone rendendole vere (e non fa i tutorial per ventenni sgallettate su come fare il contouring perfetto).

La seconda parte delle PinkInk Series inizierà quindi con foto e testi nuovi, molto nuovi. Forse disturberanno qualcuno, forse no, forse solleveranno una di quelle dispute infelici che in queste bettole web trovano dell’ottimo concime [no, non ci saranno nudi palesi], oppure, al contrario, rinforzeranno il valore della prima parte. Non è che mi interessi più di tanto.

Ma, se la mia storia si unisse a quella di altre donne, diventando corale, sarebbe bellissimo.

Qui due foto amatoriali di me, Barbara e Mariangela alla fine del set fotografico di ieri, e il dettaglio di una foto di Mariangela mentre esegue un minuzioso lavoro di Body Painting sulla mia tetta destra destinata alla ricerca.

I post del Kintsugi Project, e della seconda parte delle PinkInk Series, inizieranno quando saranno pronte le foto di Barbara, quando saranno pronte le mie parole, e quando sarò pronta io.

Nel frattempo, chiamo a raccolta le donne che hanno o hanno avuto un cancro al seno. Mi piacerebbe raccontare anche la vostra storia.

Scrivetemi in privato per sapere di che si tratta.