Giorno 116
Seconda serie di chemio, sesto ciclo di taxolo.
Con la prima serie di quattro cicli bisettimanali di epirubicina e ciclofosfamide, fanno in tutto dieci cicli completati. Ho già superato la prima metà del “percorso”: mancano soltanto altri sei cicli settimanali di taxolo.
Altre sei settimane di chemio, che saranno mai? C’è chi le ha illimitate, per sempre, finché c’è vita, finché c’è speranza, finché c’è la voglia di farle, eccetera eccetera. Quindi non ti lamentare, Annalisa.
Rifiutare o interrompere la cura è, di solito, un atto socialmente e moralmente deprecabile, e da molti in effetti deprecato.
Tuttavia, per il paziente oncologico è una scelta (ancora) possibile.
In alcuni di quegli istanti che superano di un passo la ragione (o la fede, secondo i gusti), la tentazione viene. Poi non si fa, ma si pensa. Per sfinimento, per un crollo di forze, o perché magari, nel frattempo, nella propria vita ci sono anche altre situazioni difficili che consumano le energie. Anzi, no, non “difficili”: “dolorose”. La differenza, me l’ha insegnata La Ros nei miei recenti giorni a Mondo Piccolo.
Perché non c’è mica solo la malattia, nella vita di una persona malata.
Possono accadere, nello stesso anno, eventi concomitanti che insieme creano una sinergia di strazi perfetta, ineguagliabile come un disegno divino: che so, un lutto in famiglia, la malattia di un figlio, la perdita di una casa o di un lavoro, un amore disgraziato, un divorzio, un trasloco, un problema economico, … ma anche soltanto una vita troppo “normale”, una routine sottilmente smorta o, al contrario, una routine troppo affannosa – ché ammazzano pure quelle, solo in modo meno visibile.
Non esiste un dolore più serio o più nobile di un altro: sono tutti seri e nobili se ci spengono e ci impegnano in una lotta per restare accesi, vivi. Questo, lo dico alle persone che mi vogliono bene e che, negli ultimi mesi, hanno ridotto la frequenza e l’ardore con cui erano solite raccontarmi i loro piccoli grandi dispiaceri o disastri quotidiani, immagino per timore di essere indelicate, sconvenienti, moleste. Io, invece, invito a vederla così: è utile e piacevole raccontare i propri piccoli grandi dispiaceri o disastri quotidiani a un paziente oncologico in chemioterapia perché, dopo averlo fatto, si torna a casa quasi sempre con un animo più leggero e il problema ridimensionato. Se invece si ha bisogno di non ridimensionare affatto i propri guai, ma anzi di celebrarne l’eccezionale drammaticità, con me siete comunque in compagnia della persona giusta: basta scegliere fra commedia e tragedia, ditemi: che vi serve? So fare l’una e l’altra, non perché sono capace, ma perché accetto la vita nella sua faticosa, miracolosa completezza. Non accetto, invece, il veleno dei dialoghi tossici. Non lo accetto da sempre, da prima di sottopormi a una chemioterapia citotossica.
Due, gli amuleti scelti per oggi:
1. La nuova t-shirt di Cose Brutte Impaginate Belle
Il regalo giusto che ho ricevuto dalla mia amica custode Enrica, lei che tutto di me sa. Sulla maglietta non c’è scritto “Buongiorno” come può sembrare. C’è scritto “Buongiorno“, con la sillaba finale in grassetto. Decidendo – come io decido oggi – di voler dare importanza al grassetto, si può leggere la parola con un certo tono di voce e la giusta pausa prima del “…no”. Grazie, Amor.
2. Il ricordo del momento piacevole di ieri sera
con la mia amica Simona al KLIDÈ Gintoneria Vineria Cocktails, dove ho bevuto con soddisfazione un cocktail buonissimo: lo hanno chiamato “Questo piace a Ginò” ed è a base di bulldog gin, pino mugo, chartreuse, zucchero, limone e rosmarino. L’ho scelto per il nome e per gli ingredienti; non avevo fatto caso alle foto dei cocktail sul menu, perciò è stata una sorpresa spassosa quando me lo sono visto servire in un bicchiere di vetro a forma di teschio.
Sono andata poco fa a curiosare sulla pagina Facebook del locale e questo cocktail è presentato così: “Il vero volto della vita è il teschio” (con emoji del teschio). Il post è stato pubblicato la mattina del 21 febbraio 2023 ed è curioso, per me, perché io la mattina del 21 febbraio 2023 avevo ricevuto da poche ore la notizia della mia diagnosi. La sera prima, per l’esattezza. La mattina del 21 febbraio, andavo in giro per casa ridacchiando e dicendo qualcosa come: «Ma no, dai, non può essere». Non pensavo a come mi sentivo (anche perché non lo sapevo), ma a come, quando e dove dirlo ai miei cari. Naturalmente, ho toppato con molti di loro.
Nella foto di rito di oggi, avrei voluto coprirmi gli occhi con gli occhiali da sole, ma una lente è caduta nel momento preciso in cui li stavo sfilando dalla borsa.
Mi copro con le mani, allora, perché, a voler dire le cose come stanno, in me oggi c’è tragedia, ma io non rinuncio alla commedia (e manco alla dignità).