15. come sinéad o'connor

Giorno 87 dall’inizio della chemioterapia

Cinque giorni dopo il secondo ciclo di taxolo.

Giorni di tregua e appunti in disordine.

Mangio pesce alla griglia con gli amici, bevo vino bianco (poco), e vado a ballare tango – cinque tande in una serata sono per me, adesso, una piccola morte. Però, una piccola buona morte.
Indosso pantaloni a vita alta con pence, di un verde fluo che non avrei mai azzardato “prima”. Il turbante in tessuto 37.5 Technology, di colore grigio, diventa nero di sudore, vorrei togliermelo e lanciarlo in aria come un bouquet rugiadoso. Ma non ho più il PICC al braccio sinistro, solo un buco scuro coperto da un cerotto.

Rientro alle due di notte. Bevo un litro d’acqua, sudo, ardo e soffro, e non so più se è per l’età che passa, il ballo, il caldo, la pressione bassa, il cancro, la chemio e questa brutta annata, ma temo possano essere tutte le cose messe insieme. Però in casa è fresco e si sta bene: mi basta.

Vado a vedere i campi di lavanda a Corinaldo, un piccolo borgo nelle Marche. Al lavandeto compro il bagnoschiuma, il latte detergente e il tonico alla lavanda; la proprietaria dell’azienda biologica mi dice che il tonico lo ha distillato proprio questa mattina, è freschissimo, e io naturalmente ci credo subito. Mi regala un mazzo di lavanda appena colta, che farò essiccare così com’è, in un vaso di vetro dipinto. È una lavanda del tipo “Gros Bleu”, mi faccio spiegare, una varietà ibrida che si coltiva nei campi di Provenza, adatta alla produzione di oli essenziali. È importante per me sapere le cose, anche se le informazioni non mi servono.

Il pranzo della domenica, lo faccio a casa di Mara, la mia amica veterana di chemioterapie, tornata di recente da un viaggio in Giappone, che le è molto caro e che secondo me le assomiglia per gentilezza, grazia, capacità di cura e rispetto di persone e cose.

Siamo sei donne a tavola, perciò la gentilezza, la grazia, la cura e il rispetto ci appaiono qualcosa di semplice e naturale. Brindiamo all’amicizia e anche, come suggerisce Oriella, all’amore «incondizionato» (credo lo conoscano solo le madri, e io madre non sono).

Ci scambiamo regali, senza ricorrenze da festeggiare. Io ho portato una piantina a ognuna di loro – garofani turchi, rose, vinche – che ho confezionato con carta velina, spago e un biglietto scritto a mano. Ci ho scritto qualcosa riguardo alla bellezza. Mangiamo lentamente tutto quello che Mara ha preparato per noi: ochazuke con umeboshi, tsukemono, fagiolini al sesamo e insalata di patate, infine per dolce anmitsu con gelato senza lattosio. Beviamo sakè. Io mi addormento sul divano dopo una crisi di reflusso gastrico («Ma allora ‘sto Plasil, a che serve? E il Pantoprazolo del mattino?»), non sono di piacevole compagnia né contribuisco alla conversazione, ma credo di avere una specie di sorriso ebete, grato e malinconico in faccia, solo perché sono dove sono.

Rifletto sul concetto di spreco da una prospettiva che mi era insolita. Uno non ha l’impressione di sciupare qualcosa, se non lo considera un bene. Non c’è percezione di spreco, senza attribuzione di valore. Vale un po’ per tutto: l’acqua, il cibo, l’amore, la vita. Se stessi.

La mia amica Irene mi manda su WhatsApp 5 minuti e 23 secondi di registrazione del frinire di cicale dalla terrazza di casa sua. Le sono grata, perché glielo avevo chiesto io. Credo sia uno dei rumori bianchi che meglio mi aiutano a calmarmi. Anche a casa mia si sentono le cicale, ma a casa di Irene può capitare che si unisca un assolo di pavone. Ah: il verso del pavone è il paupulo, da “paupulare”. È importante per me sapere le cose, anche se le informazioni non mi servono.

A proposito di pavoni, la mia amica Mara, veterana di chemioterapie, mi scrive un messaggio riguardo alla serata di tango insieme: “Guardavo i video che ci ha fatto Irene: per essere due con un piede nella fossa, siamo due bei pezzi di gnocche”.
È vero. Io poi, senza capelli e con il fisico longilineo, mi vedo come una qualche divinità ctonia contemporanea, o quell’inafferrabile dea Fortuna che in certe rappresentazioni rinascimentali è raffigurata calva (ma lei solo per metà, vinco io).


Oppure sono Sinéad O’Connor quando canta “Troy”.