11. pia pera

Giorno 43

Pia Pera è stata una scrittrice, slavista e traduttrice dal russo e dall’inglese, morta all’età di sessant’anni, nel 2016, quattro anni dopo uno spiacevole incontro con la Sla (sclerosi laterale amiotrofica).
Nata a Lucca, vissuta soprattutto a Milano, a un certo punto della sua vita intensa, colta, irrequieta e urbana, Pia si rompe le palle e vuole silenzio, poche persone e tanta natura.

Decide quindi di tornare alle origini: torna a casa e recupera un vecchio podere di famiglia abbandonato, a San Lorenzo a Vaccoli, poco fuori Lucca. Qui diventa giardiniera. Restaura e arreda la casa, progetta il giardino, semina l’orto, traccia viali. E scrive. Scrive moltissimo, forse più di prima.

Fra le piante, Pia trova il suo posto nel mondo. Il proprio posto nel mondo, credo sia un posto dove ci si sente felici (anzi: «In certi momenti la felicità è troppo intensa, trabocca, da non contenerla. Come adesso davanti al rosso rubino delle amarene contro il verde scuro delle foglie», scrive Pia in “L’orto di un perdigiorno”, Ponte alle Grazie, 2003).

L’ultimo libro che Pia scrive è “Al giardino ancora non l’ho detto” (Ponte alle Grazie, 2016). Racconta della malattia, dell’attesa serena della fine, e delle sue preoccupazioni per il giardino, al quale non ha ancora detto che, da un certo giorno in poi, lei non potrà più prendersi cura di lui. È un libro arioso e luminoso, lucido, raffinato e pieno di grazia, che della tristezza non ha nulla.

Ecco le parole alle quali, in questo stanco numero 11 delle PinkInk Series, cedo il posto delle mie:

«Mi sono abituata. Non solo: da quando ho perso la me stessa di un tempo – quella che attraversava fulminea la città, che camminava instancabile in montagna, che guardava con commiserazione chi si serviva di taxi e mezzi pubblici invece di andare a piedi – non ho più avuto malumori. Non so perché. Forse mi sono resa conto che il tempo è poco, perché mai sprecarlo? O c’è qualcosa di più, in questa paradossale serenità?
[…]
La leggerezza interiore nasce forse dal sentirmi libera dalla zavorra terribile del futuro, indifferente al cruccio del passato. Immersa nell’attimo presente, come prima mai era accaduto, faccio finalmente parte del giardino, di quel mondo fluttuante di trasformazioni continue.
[…]
… mi sento adesso più che mai connessa interiormente a una sorta di bellezza e armonia impalpabili. Una bellezza che va rivelandosi mano a mano che, con lo spegnersi, si estingue la sicumera dell’io, l’attaccamento al mondo.
Estasi: uscire da sé.
[…]
Siamo così attaccati a noi stessi, all’idea di un sé separato con una personalità inconfondibile. Quanto ci diamo da fare per mostrarci unici, costruire un individuo fuori dall’ordinario. Quanta resistenza all’idea di restare invece indefiniti. Confondibili con il resto. Non venire notati, scomparire inosservati. Che paura! Mentre un saggio aveva suggerito: vivi nascosto».

(pp. 16, 18, 23, 24)

Per chi vuole scoprire il giardino di Pia Pera e tutti i suoi libri meravigliosi: piapera.it.
Per le lettrici e i lettori che mi abitano vicino ma non possono o non vogliono spendere molti soldi in libreria: ho tutti i libri di Pia ed è sempre attivo il servizio di prestito bibliotecario di casa mia. E tranquilli che se dimenticate di restituirmeli, ve lo ricordo io con la delicatezza che mi caratterizza.


Dopodomani, se l’emocromo lo permette, farò il quarto ciclo di chemioterapia. L’ultimo ciclo delle “rosse” – così viene chiamata in gergo la chemioterapia a base di epirubicina che spezza le ossa.
A me le ha spezzate. Dev’essere anche perché per me è stato scelto il regime “dose-dense” (cioè un ciclo di rossa ogni due settimane invece che ogni tre come di solito accade).
Ma coraggio: è l’ultimo ciclo di rossa. Poi ecografia, aghi, provette, vetrini, colloqui, palpeggiamenti, pausa caffè, sigaretta, e via con una nuova serie, di cui non ho ancora scoperto il nome in gergo, che si preannuncia “più leggera”, ed è per questo, immagino, per la sua leggerezza, che la farò regolarmente una volta alla settimana, per dodici settimane. Tutta l’estate, come fette di cocomero.

Non sono stanca: c’è un po’ di stanchezza. È una frase diversa.
Allora: spostare lo sguardo. Lasciar parlare i fiori, e le scrittrici.
Ringraziare Pia Pera.