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Loriana è una donna ascolana con il Carnevale nel sangue. Nutre un amore gentile per gli animali, legge saggi di filosofia, ama lo sport e balla il tango argentino. Ha 62 anni e lavora in uno studio dentistico.

Loriana crede in Dio e ha una salda spiritualità. Viene a trovarmi una domenica pomeriggio insieme a un’amica e mi porta in dono due libretti di testi sacri Bahá’í.

La fede Bahá’í – mi spiega, – deriva dagli insegnamenti di Bahá’u’lláh, profeta iraniano vissuto nella seconda metà del XIX secolo. Uno dei principi spirituali della fede Bahá’í è la responsabilità di ogni individuo di cercare la verità in maniera indipendente. Facendo una ricerca veloce, scopro che i seguaci in Italia sono circa 3.000, sparsi fra 500 località nel territorio nazionale.

Io non seguo alcunché e non credo in granché, però sono curiosa e accolgo con gratitudine il regalo di Loriana, avvolto in una bella carta kraft chiusa da uno spago e ornata di foglie essiccate.

Metto sul tavolo una ciotola di funghetti di Offida, dolci della tradizione marchigiana a base di acqua, farina, zucchero e semi di anice. Preparo una tisana di betulla, centella e vite rossa; accendo una candela e metto un po’ di musica, un pianoforte jazz.

Quando una donna-albero ci racconta la sua storia, si deve fare spazio, rallentare il tempo, creare un luogo sicuro, confortevole, morbido come i cuscini su un letto per i bambini prima di leggere insieme la storia della buonanotte. Io questo, credo.

Loriana incontra il suo cancro all’inizio del 2002.
È una donna sana e forte che si affaccia alla soglia dei quarant’anni, quando con le dita sul suo seno sinistro si ritrova a tastare un nodulo, piccolo e duro come un nocciolo di ciliegia.

La prima mammografia della sua vita porta una buona notizia e una cattiva notizia: il nocciolo di ciliegia è una ciste innocua, molto bene; tuttavia, dietro di essa, proprio al di sotto del capezzolo e a una profondità irraggiungibile al tatto, c’è qualcos’altro.

Il referto dell’esame citologico dice che è un tumore, ma il patologo la rassicura e ci tiene a chiarire: “È un tumoretto”. Loriana si sforza di concentrarsi sul diminutivo, ma non è che si possa ignorare l’identità delle parole anche quando proviamo a ridurne la grandezza, a limitarne l’urto fragoroso che fanno quando si ritrovano sbalestrate in una stanza della mente. Un tumore, o è un tumore o non lo è. Quello di Loriana lo è, e lei ne viene a conoscenza nel reparto di anatomia patologica dell’ospedale di Ascoli Piceno, la sua città amatissima. A quell’epoca, il reparto si trova vicino alla camera mortuaria ed è lì sui gradini che Loriana si siede a piangere, e un po’ anche a ridere, perché a chi cazzo è venuto in mente di mettere il reparto di anatomia patologica, un posto dove scopri se hai un cancro o no, vicino alla camera mortuaria?

Il tumoretto è un carcinoma intraduttale in situ, un LIN 1: non una tragedia, via. Bisogna aspettare, le dicono, ci sono casi più gravi. I letti in ospedale servono a quelli che stanno peggio. Loriana vorrebbe farsi operare subito, ma aspetta con pazienza e nel frattempo pensa a sua cugina, che di cancro al seno è morta. È primavera inoltrata quando una quadrantectomia la libera dal tumoretto. Via anche i linfonodi, braccio a riposo e quel poco di sofferenza necessaria a rifinire la vita di una donna, strutturalmente pronta al dolore.

Passano gli anni, molti.
Loriana, come tutte le donne scampate a un cancro al seno, colleziona mammografie di controllo.
Quella del 2014 non piace per niente alla dottoressa che la esamina. “Questa dottoressa – mi racconta Loriana, – mi faceva pensare a Margherita Hack”. Mi aiuto con le domande e capisco che la dottoressa di Loriana ha in comune con Margherita Hack la bravura, la faccia autentica e la capacità di dire con semplicità cose scomode, insieme a un totale e gioioso disinteresse per il look.
“C’è qualcosa che non mi piace per niente”, le dice Margherita Hack. È un carcinoma intraduttale in situ all’altro seno, il destro. È una fortuna che ne abbiamo solo due, pensa Loriana.

Un’altra quadrantectomia, ma stavolta anche radioterapia e una bella mangiata di ormoni che la fanno sentire dopata. Le unghie si sfaldano, i capelli diventano una stoppa bruciata, ma questo secondo tumoretto le mette un’energia, una gioia di vivere tutta nuova. “In quei giorni mordevo la vita; – mi dice, – io così felice, da sana, non lo ero mai stata”. Ormoni, non c’è dubbio, ma anche tango: dev’essere anche merito del tango, che Loriana scopre proprio in quel periodo.

È per una serata di tango che Loriana, fiera e strafatta di terapie, si intestardisce a infilare il petto in un raffinato corpetto impreziosito da una catenina di metallo che scende tra i seni. Le amiche le dicono: non è meglio toglierla? La pelle sul petto, infatti, è diventata sottile e fragile, arsa dalla radioterapia. Nossignore, dice Loriana, il corpetto va indossato con questa catenina, così com’è e così dove sta. Loriana balla tutta la sera finché la catenina le sega la carne; torna a casa insanguinata e soddisfatta.

Ridiamo mentre mi racconta questo aneddoto e finiamo di bere un’altra tazza di tisana. Non le dico che mi ricordo di quel corpetto elegante e dei suoi orecchini rossi perché a quella serata c’ero anch’io: ho conosciuto Loriana nel tango, una passione che ha rapito anche me. Sangue agli alluci e calli ai piedi, caviglie gonfie, rivoli di sudore, ore piccole, musica buona e capitoli di vita che pulsa sotto la pelle.

Quando le chiedo di dirmi cosa l’ha sostenuta, cosa l’ha aiutata di più, Loriana mi dice: la preghiera. Io invidio chi sa pregare.

Infine, le chiedo di raccontarmi un ricordo prezioso di quel periodo e lei mi racconta un sogno. “Sognai me stessa da vecchia. – mi dice, – Ero piccola piccola, le braccia sottili sottili, avvolta in una camiciola bianca di cotone, con le maniche arrotolate fino ai gomiti proprio come sono solita fare. Avevo cento anni”. Si asciuga gli occhi e guarda lontano.

Loriana è guarita.

Continua a ballare tango e a indossare abiti eleganti. Fa parte di un’associazione che si chiama Hozho, fondata nel 2002 da un gruppo di donne operate al seno e presieduta dall’oncologo Dott. Amedeo Pancotti, con la quale organizza eventi e convegni di oncologia ad Ascoli Piceno.

Prima di salutarci, mi chiede di recitare insieme una preghiera Bahá’í. Io mi presto con un po’ di imbarazzo, la goffaggine di un americano di provincia che arrotola gli spaghetti sulla forchetta. Loriana sceglie un preghiera per la guarigione. La mia, suppongo, che ho ancora addosso i cerotti della mastectomia, la stanchezza della chemioterapia e il referto di un esame istologico da scoprire. Grazie.

Per la parte corale del Kintsugi Project, quella di Loriana è la seconda delle storie delle donne-albero.

Nella foto che mi ha mandato c’è lei, ritratta dal fotografo Claudio Mirabella in quella sanguinosa serata di tango del 2015.

La canzone per Loriana, me l’ha suggerita lei stessa, amante di tango nuevo: Astor Piazzolla, Adiós Nonino, un brano per bandoneon e orchestra più da ascoltare che da ballare. Impeto e calma, rabbia e tenerezza, dolore e leggerezza, insieme in una canzone come nella vita.

Kintsugi Project: come farne parte

In queste settimane sto raccogliendo le testimonianze di altre donne che hanno o hanno avuto un cancro al seno. Queste testimonianze faranno parte del Kintsugi Project in ogni luogo in cui il progetto troverà accoglienza.

Grazie a chi ha già risposto al mio invito e grazie alle altre che si faranno avanti.