Catia ha 47 anni, quasi tutti vissuti in mezzo ai libri. Ultima di quattro figlie, lei è la piccoletta di casa, timida, delicata, di buon cuore. «Sei un po’ la Beth delle sorelle March?», le chiedo. Lei sorride e annuisce. Solo un po’, però: tutte noi che da bambine abbiamo letto Piccole donne ancora piangiamo la piccola Beth, morta di scarlattina. No, tutte noi no, ho esagerato, mentre io voglio essere vera e precisa: a piangere la morte di Beth March sono solo le donne che, come me, non hanno superato del tutto l’infanzia.
Catia, invece, ha avuto un cancro al seno ed è vivissima, occhi vigili, corpicino sodo e scattante, asciutto. Ogni mattina si sveglia molto presto e fa quarantacinque minuti di ginnastica a casa – ellittica e pesi, – una ricca colazione con yogurt, porridge, pane, miele e cannella («Mi magno pure la santa casa», precisa lei). Poi va a lavoro.
Catia legge un paio di libri alla settimana, i suoi preferiti sono Carrère, Cameron e Simenon – di quest’ultimo, se fosse vivo, vorrebbe essere l’amante. Le piacciono i gialli facili quando non le va di pensare e adora andare alla ricerca di autrici e autori emergenti.
Catia fa la libraia da vent’anni: ha aperto una libreria nel 2002 insieme alla sorella Brunella. Sono loro le mie libraie di fiducia da quando, dieci anni fa, sono tornata a vivere nel mio paese. La libreria Ubik La Torre è il mio punto di riferimento locale; ci passo ogni settimana anche solo per due chiacchiere e un’occhiata veloce alle ultime uscite.
Catia sa cosa ho letto, cosa vorrei leggere e cosa non vorrei leggere; mi fa arrivare i libri che ordino, consiglia i miei familiari e amici che vanno da lei per regalarmi un libro, ne filtra le scelte.
Conoscere in profondità le letture di una persona è un po’ come sapere cosa mangia, o che tipo di biancheria intima ha nel cassetto, o in cosa crede. Anche senza essersi mai frequentate fuori dalla libreria, ci si conosce in una qualche intima forma.
Quando viene a trovarmi a casa per l’intervista del Kintsugi Project, Catia mi porta in regalo l’ultimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, L’età fragile (Einaudi, 2023). Era nella mia lista dei desideri per Natale. Le preparo un tè verde Sencha con gelsomino, fragola e vaniglia, e le offro i biscotti che mi vengono meglio, gli omini di pandizenzero. Cominciamo.
Nel 2014, all’età di 38 anni e traboccante di vitalità e fiducia verso il proprio futuro, Catia scopre di avere un carcinoma duttale G2 incapsulato dentro una ciste al di sotto del seno destro. “Forse me lo merito”, pensa. Anch’io l’ho pensato del mio carcinoma infiltrante G3, quest’anno: giri di vita sfuggiti di mano, ingranaggi poco oliati, troppa presunzione, poca attenzione, sbagli madornali, ed ecco, ora giù in ginocchio e abbassa la testa. Si pensano tante cose quando si scopre di avere il cancro, e molte di queste cose sono stronzate.
Nella famiglia di Catia non ci sono casi di tumori, lei è pioniera e la genetica non ha nulla da dire al riguardo. La notte prima di partire per il Gemelli di Roma, Catia sogna Papa Giovanni Paolo II che le dice come un padre severo: «Questa è la prima e ultima volta».
Per cominciare, sei cicli di chemioterapia neoadiuvante da luglio a novembre. Nell’ordine, arrivano puntuali e sicure: stipsi, parodontite, febbre, nausea, spossatezza, menopausa e, naturalmente, caduta dei capelli. Catia sceglie la parrucca, io ho scelto i turbanti. Lei ha pianto quando ha perso i capelli, io piango adesso che mi stanno ricrescendo – sono nuovi, diversi, forse ricci, forse crespi, io questi capelli qui non li riconosco, non li voglio. Ripenso agli effetti collaterali della mia chemio di quest’anno, davvero li ho vissuti io? Ho fatto l’ultimo ciclo il 20 settembre: sono passati appena tre mesi. È straordinario come siamo progettati per andare avanti, fare spazio al nuovo, ricordare sempre meno ciò che è stato, non restare nel passato (altrimenti, dicono gli specialisti, è depressione).
Quella del 2014, ricorda Catia, è un’estate fredda, ventosa e senza canzonette, «Non ci fu un tormentone estivo quell’anno, ti ricordi?». No, non me lo ricordo (“Importante è ricordare, ma più importante è dimenticare”). Ero da poco tornata da Roma, era la mia prima estate in paese dopo tanti anni, mi sembrava tutto nuovo, anche l’estate mi sapeva di nuovo. Quella per me fu la stagione delle amicizie ritrovate, del Martinbook Festival organizzato insieme ad amiche e conoscenti del paese, della rilettura di John Fante e dell’intervista a Donatella Di Pietrantonio. Per Catia, invece, fu la stagione della chemio.
A dicembre di quell’anno, Catia va in sala operatoria: quadrantectomia e linfoadenectomia. Poi trenta cicli di radioterapia, poi compressa ormonale per dieci anni. Ad anno nuovo, 2024, sarà tutto finito (ma “che sia la prima e ultima volta”).
Nel 2015, poco dopo aver concluso quello che i medici chiamano “percorso terapeutico”, Catia fa un viaggio a Londra con la sorella e i nipoti. «Avevo voglia di famiglia», mi dice. Perché durante la malattia Catia aveva smesso di fare progetti, e pure sogni; si metteva la parrucca e andava a lavorare; soltanto stare in mezzo ai libri la calmava.
Quando le chiedo se ha mai avuto paura di morire, mi risponde: «Sì, ma meglio a me che alle mie sorelle che hanno figli».
Catia è guarita.
Anzi, lei preferisce dire “rinata”. Continua a lavorare nella sua libreria, e a passarci anche quando ha il giorno libero, giusto per un saluto alla sorella Bruna, ai clienti, agli amici, a chi c’è. La libreria è un luogo in cui ci si ritrova, si fanno due chiacchiere, posto sicuro, angolo prediletto, stanza dei giocattoli, tinello e focolare.
Quando non legge, Catia va a cena con le amiche, passa del tempo con le sue sorelle, fa la zia, gioca con il cane Kira, che ha 9 anni, tanti quanti ne ha lei adesso che è rinata.
Prima di andare via, e di abbracciarmi, Catia mi dice una cosa che mi è familiare: «Il cancro mi ha migliorata. Dopo, l’ho visto come un’opportunità per rivedere le cose, essere più gentile verso gli altri».
Anch’io ho visto nel mio cancro un’opportunità. Non credo di averla ancora colta, ci vuole tempo per apprezzare sul serio di essere vivi.
Mentre scrivo la storia di Catia, mi tocco i tre puntini neri che ieri mi hanno tatuato sul lato esterno del seno destro ricostruito, del seno sinistro e al centro: servono per la radioterapia che inizierò la settimana prossima, un paio di giorni dopo Natale.
Per la parte corale del Kintsugi Project, quella di Catia è la quarta delle storie delle donne-albero.
La foto che mi ha mandato è stata scattata durante quel viaggio a Londra, dopo la malattia.
La canzone che ho scelto per Catia è una delle sue preferite, e anche una delle mie: Queen, Love of my life.
Kintsugi Project: come farne parte
In queste settimane sto raccogliendo le testimonianze di altre donne che hanno o hanno avuto un cancro al seno. Queste testimonianze faranno parte del Kintsugi Project in ogni luogo in cui il progetto troverà accoglienza.