autoriconoscimento

Terzo ciclo di capecitabina

Il formicolio si è fermato, per ora, ai polpastrelli delle dita della mano. Pizzicano, ma l’eritrodisestesia palmo-plantare, fino a questo momento, rimane più una paura che una realtà: non ho eritemi, non ho vesciche, non ho pelle che si squama. Mio nonno Santuccio, morto di cancro alla prostata, direbbe: «Ringrazia la madonna».

Nuove sono invece le afte, che nel mio caso sono causate dalla chemioterapia attuale, a base di capecitabina. Non ne avevo mai sofferto. Possono venire anche a chi soffre di squilibri ormonali, malfunzionamento del sistema immunitario, o a chi – amici miei, – ha cattive abitudini come il consumo di alcolici, il fumo o una dieta poco sana. Quindi, prima o poi, mi sarebbero toccate anche senza cancro e senza chemio.

L’afta in bocca, su una gengiva, fa un male porco.

Mi è spuntata sabato sera, di ritorno da una gita a L’Aquila, dove sono stata a vedere una mostra al MAXXI.

L’Aquila è stata la città della mia formazione universitaria, qualche anno prima del terremoto. L’ho ritrovata come ritrovo me nel 2024: in rovina, ma tignosa.

Verso la fine degli studi per la prima laurea, forse nel 2004, feci un tirocinio in una piccolissima casa editrice vicino alla Facoltà di Lettere. Avevo dimenticato il nome, ma l’ho ritrovato con una ricerca veloce: Berardino Marinacci Editore. Comunque, oggi non esiste più. Ne ho osservato le macerie attraverso la porta a vetri; per terra ho trovato una bottiglia di birra. Sono tornata poche volte a L’Aquila, dopo il 2009. Dei miei ritorni ho scritto in un vecchio blog dove non scrivo più da diversi anni (Lettere al caro Gigi).

Per quel tirocinio, dicevo, il proprietario della casa editrice mi diede un compito: sbobinare le registrazioni di interviste. Erano interviste condotte dal mio professore di linguistica italiana, il Prof. Francesco Avolio, ad abitanti anziani dei piccoli comuni dell’aquilano. L’obiettivo della sua appassionata e scrupolosa indagine era la realizzazione di un atlante dei dialetti aquilani. Solo di recente, perché me ne sono interessata, ho scoperto che quell’atlante è stato pubblicato: è l’ALEICA (Francesco Avolio, Giovanni De Gasperis, Teresa Giammaria, Atlante Linguistico ed Etnografico Informatizzato della Conca Aquilana).

Soltanto oggi, nel 2024, scopro di aver fatto parte, in qualche modo dietro le quinte, tra gli operai senza nome, di un progetto destinato a creare uno strumento prezioso per studiosi e studenti di linguistica italiana. Cose che interessano a pochi, ma buone.

All’epoca avevo poco più di vent’anni, sbuffavo, e non comprendevo né lo scopo né il valore di quello che stavo facendo, anche perché nessuno me li aveva spiegati. Di quell’esperienza mi ricordo soprattutto che mi ruppi il mignolo di un piede sbattendo contro la gamba di una sedia mentre facevo fotocopie. Passai giornate interminabili seduta a una scrivania con le cuffie sulle orecchie, ad ascoltare il mio professore che conversava con centenari di Paganica, Assergi, Scurcola Marsicana, Tornimparte, … Era estate, sudavo, avevo esami da preparare per settembre, centinaia di ore di tirocinio da registrare, e dei dialetti aquilani non me ne importava nulla. Mi sarei laureata l’anno dopo con il Prof. Avolio, e poi di nuovo con lui qualche anno più tardi: in nessuno dei due casi sui dialetti aquilani.

Il quaderno dell’autoriconoscimento

Questa mattina, durante la psicoterapia, ho ricevuto il suggerimento di compilare una lista delle cose buone che sento di aver fatto nella mia vita. Cose che mi sono state dette, oppure cose che oggi esistono grazie a una mia azione. Sono stronzate che si fanno, queste liste, quando pensi che la tua vita non sarà lunghissima.

Inizio quindi da questa cosa buona, le decine di ore di interviste sbobinate nel 2004, a poco più di vent’anni, mentre bestemmiavo per il dolore al mignolo rotto, il caldo e i dialetti aquilani. Proseguo con le parole di ringraziamento dei miei ex studenti nel periodo in cui ho insegnato italiano L2 a Roma tra il 2009 e il 2014; poi ci metto Huang Fabrizio, il mio ultimo studente nel 2016, prima di decidere di cambiare lavoro (che consiste nello scrivere cose per gli altri). Poi non so come continuare, ma in qualche modo al 2024, perdio, ci arrivo.

La tosse della nuova mucosite alla gola, la sonnolenza, la spossatezza, le afte, il formicolio alle dita della mano non mi impediscono di lavorare, di fare gite, di uscire fuori a cena, di consumare alcolici, di stupirmi – a volte – mentre guardo il cielo al mattino presto e mezzo mondo dorme.

Faccio esperienza della rabbia.

Non è un’emozione che mi è familiare, quindi ci metto tempo per riconoscerla, abilitarla e farla parlare. Inizia ora, nel mese di marzo dell’Anno Domini 2024, con discreto ritardo sugli eventi del 2023 (tutti).

Ho ricominciato a leggere libri (fino all’ultima pagina, intendo), a guardare film, a spostare lo sguardo, e ho cominciato a riconoscere, mese per mese, anno per anno, le cose, gli eventi e le persone che mi fanno incazzare.

Fate attenzione, molta.